Introduzione
Era una fredda e tersa mattina di gennaio. Era ancora buio ma in molti erano già pronti per affrontare una dura giornata di lavoro nei campi. Nulla lasciava presagire che da li a qualche minuto il mondo a tutti noto sarebbe cambiato. Per sempre.
E’ vero, da qualche giorno si sentiva parlare di strani fenomeni – sicuramente magici – che avvenivano nei campi del Fucino: gas infiammabile che fuoriusciva dal terreno nei pressi delle prime case di Trasacco – alcuni braccianti grazie a questi fuochi “fatui” avevano potuto addirittura scaldare le vivande tra l’allegria generale – le acque degli stagni di Pozzone, vicino a colle Marinucci, che erano improvvisamente diventate bollenti o quelle dei pozzi che non erano più limpide come prima. Nonostante questi, l’alba del 13 gennaio del 1915 appariva del tutto simile a quelle che l’avevano preceduta e, sicuramente, sarebbe stata uguale a quelle che l’avrebbero seguita anche se nell’aria c’era un senso di preoccupazione per i venti di guerra che si alzavano in Europa…
Il treno per Roma non era ancora giunto alla stazione di Avezzano e il vetturino Nicolino Berardi avrebbe, comunque, dovuto accompagnare un passeggero a Massa d’Albe, quando, alle 7 e 53 la prima scossa, violentissima, interminabile, colpì Avezzano, Ortucchio, Pescina e la Marsica tutta. L’onda sismica si propagò, con i suoi effetti distruttivi, verso la valle Roveto e verso la conca di Rieti lasciando, dietro di se, un numero inimmaginabile di vittime e macerie ovunque. La violenza del terremoto fu avvertita, con forza, dal Veneto fino in Sicilia.
L’evento sismico
La scossa principale ci fu, come si è detto, alle ore 7, 52 minuti e 43 secondi del 13 gennaio 1915. L’epicentro fu individuato da Emilio Oddone, un geologo che giunse nei giorni immediatamente successivi all’evento, presso il margine orientale del bacino del Fucino, a breve distanza dal centro abitato di Ortucchio: “L’epicentro, e non discutiamo se reale o apparente, ha sede ad oriente del bacinetto, a sud di San Benedetto, ad occidente di Venere e poco a nord di Ortucchio “ (Oddone 1915). Le repliche, circa un migliaio quelle registrate, alcune delle quali di notevole intensità, diedero luogo ad uno sciame sismico che interessò la regione per un arco di tempo di quasi un anno. La scossa principale, quella delle ore 7 e 53, ebbe una magnitudo 7 della scala Richter (11°-12° grado della scala Mercalli) e fu avvertita distintamente in tutta l’Italia centrale, tanto che anche a Roma vi furono danni di una certa entità (fu danneggiato il colonnato del Bernini a piazza San Pietro, cadde la statua di San Paolo dalla facciata della basilica di San Giovanni, si contarono danni in parecchie chiese e palazzi del centro storico).
Nella zona dell’epicentro e nel circondario è riduttivo parlare di danni: in pratica, non esisteva più nulla. I paesi di Avezzano, Cese, Cappelle, Massa d’Albe, Ortucchio, Pescina, Gioia dei Marsi, Lecce nei Marsi e Luco furono completamente rasi al suolo tanto che ai soccorritori fu spesso impossibile riconoscere le strade, i palazzi nobiliari o le semplici abitazioni che ne caratterizzavano i rioni. Gli abitati di Celano, di Cerchio e di Trasacco, Collelongo furono in parte risparmiati mentre danni ingenti si contarono nei centri della valle Roveto, fino a Sora e a Isola del Liri, nel basso Lazio e, verso nord, a Torano, Corvaro, Rieti. Si contarono, alla fine, ben 52 centri abitati distrutti o fortemente danneggiati dal terremoto; le regioni maggiormente interessate furono, altre all’Abruzzo, il Lazio, la Campania e l’Umbria.
La morfologia delle campagne fu sostanzialmente modificata dalla comparsa di voragini e profonde spaccature che testimoniavano la presenza di faglie e movimenti tettonici. In alcuni punti il terreno si sollevò anche di diversi centimetri. A Trasacco la scarpata di faglia raggiunse in alcuni punti gli 80-90 cm, mentre verso Pescina il dislocamento verticale si assestò su una media di 30-40 cm con punte di 60-70 cm. Presso Gioia dei Marsi comparvero piccoli vulcani di fango mentre la zona del Bacinetto, la zona più infossata del prosciugato lago Fucino, si riempì nuovamente e per giorni di una grande quantità di acqua sgorgata improvvisamente dal terreno.
I soccorsi
Si calcola che il terremoto del 13 gennaio causò più di 30.000 vittime su una popolazione residente (nell’area colpita) di circa 120.000 persone. Ad Avezzano, che al momento del sisma contava circa 12.000 abitanti, ci furono ben 10.700 vittime e i superstiti, gran parte risultavano feriti. Ad Ortucchio su 2.500 abitanti i morti furono 1.800; così come a Pescina dove su 5.500 persone ben 4.000 rimasero sotto le macerie. Questi numeri lasciano ben capire di fronte a quali difficoltà si trovarono i soccorritori arrivati da ogni parte del Paese. Considerate le incertezze degli organi statali nel capire le dimensioni della tragedia e la tardiva individuazione delle zone colpite dal terremoto, si potrà avere un quadro sufficientemente chiaro del caos che ci fu nelle ore immediatamente successive al verificarsi dell’evento sismico.
La dimensione della tragedia tardò ad arrivare a Roma. Ad Avezzano e nei centri limitrofi non era sopravvissuto nessuno che potesse dare notizia del fatto: il Sindaco Giffi era morto e con lui il sottoprefetto De Pertis. Periti anche il presidente del tribunale, il capitano dei carabinieri e gran parte della truppa di stanza nella città marsicana. Il telegrafo era distrutto e la stazione ferroviaria inagibile.
Le prime informazioni giunsero da Tagliacozzo solo nella tarda mattinata del 13. Nelle prime ore del giorno stesso si arrivò ad avere un quadro sufficientemente preciso del disastro: il Castello Orsini di Avezzanoministero delle Poste fu quasi subito in grado di delimitare il territorio dal quale non provenivano più comunicazioni telegrafiche; l’agenzia Stefani, con i suoi comunicati stampa, forniva notizie sufficientemente attendibili; anche il mancato arrivo a Tivoli del treno proveniente da Avezzano, costitui ulteriore indizio che l’epicentro del terremoto andava ricercato in Abruzzo.
I primi soccorsi “ufficiali” arrivarono da Roma grazie ad un treno speciale partito da Termini alle ore 13.00. Sul convoglio presero posto, tanto per indicare il livello di valutazione dell’evento, solo funzionari statali con il compito di verificare l’entità di “eventuali” danneggiamenti! Alle ore 19.00 partì da L’Aquila un primo convoglio ferroviario con militari di truppa destinato a raggiungere la Marsica.
Alle 21.10 giunse, invece, a Roma un primo treno pieno di feriti e di sopravvissuti.
Alle 23.30, solo dopo che furono giunte conferme della gravità della situazione da parte del comm. Di Domenico, Ispettore generale del ministero del’Interno e dall’on. Sipari deputato del collegio di Pescina (giunti in Abruzzo con il treno delle 13.00 da Roma), fu organizzato il primo convoglio ferroviario con 600 soldati, un ospedale da campo e generi di prima necessità.
L’afflusso dei soccorsi divenne più regolare e sistematico a partire dal giorno seguente e nel corso dei due giorni successivi le principali località colpite furono raggiunte dai soldati. Alle 13.55 del 14 gennaio giunse, alla stazione di Avezzano, il treno speciale con Re Vittorio Emanuele III e il suo seguito che “visiterà le rovine della città e porterà conforto alle popolazioni colpite dall’immane disastro”.
Ad accrescere le difficoltà oggettive, si pensi che molte località erano difficilmente raggiungibili per via delle frane che ostruivano le vie di accesso o dei ponti crollati che dovevano essere aggirati, contribuirono, in modo sostanziale, anche le cattive condizioni atmosferiche. Dal giorno 16 la neve ricoprì uomini, baracche e macerie. In alcuni punti la coltre di neve raggiunse il metro di spessore rendendo impossibile la circolazione di uomini e mezzi, tanto che diversi centri del reatino furono raggiunti La cattedrale di Avezzanonon prima del 19 gennaio. Nel pieno della sua forza l’apparato militare poté contare su 10.630 uomini suddivisi in sette zone di intervento (Avezzano e conca del Fucino 3.500 uomini; Monte Velino 1.300 uomini; Tagliacozzo 300 uomini; valle Roveto 1000 uomini, ecc.) e comandate dal generale Carlo Guicciardi. Tuttavia la grande guerra era alle porte dell’Italia e gran parte della truppa fu richiamata nei propri quartieri: già agli inizi di febbraio i reparti del genio, i più adatti in questo frangente, lasciarono la Marsica e, a partire dalla metà dello stesso mese, anche la sanità militare fu mobilitata e ridislocata in vista delle future operazioni belliche.
La macchia dei soccorsi rimase così in mano quasi esclusivamente all’iniziativa privata di persone ed enti caritatevoli che si impegnarono a proseguire l’opera iniziata dallo Stato, ma molto rimase da fare e la ricostruzione dovette attendere, per dare la precedenza alle “supreme esigenze belliche della Patria”. Molti dei giovani scampati al terremoto servirono ugualmente l’Italia in guerra. Molti di essi non fecero ritorno. Stessa sorte subirono tanti soldati che soccorsero le popolazioni colpite.
Bibliografia
S. Castenetto, F. Galadini 1999, “13 gennaio 1915. Il terremoto nella Marsica”, SSN, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1999.
E. Oddone 1915, “Elementi fisici del grande terremoto Marsicano.Fucense del 13 gennaio 1915”, Boll. Soc. Sismologica Italiana n. 19, p. 71, Roma 1915.
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