Il 24 febbraio 1904 un violento terremoto con epicentro Rosciolo lesionò gravemente molte case di Rosciolo e di Magliano. La popolazione si riversò nelle strade. Una serie di foto d’epoca testimonia gli attendamenti. L’ultima torre di cinta a sud del centro storico venne demolite. Un comitato Pro Marsica presieduto dall’onorevole Massimo De Amicis curò il coordinamento dei soccorsi.
La maggior parte delle case puntellate per gravi lesioni, avrebbero avuto bisogno di opere di consolidamento. Purtroppo ciò non avvenne per la maggior parte dei casi sebbene una legge apposita fosse stata promulgata in data 30 luglio 1904 per interessamento dell’onorevole Giovanni Cerri.
Ciò fu, come vedremo, fatale per Magliano. In quell’occasione il Papa Pio X inviò un contributo di lire mille. Al Comune di Magliano dei Marsi. (Lettera dall’ASCN) La vita , come abbiamo già visto, proseguì nella strada del progresso. Anche le strutture edilizie venivano rinnovate, nuove abitazioni erano costruite lungo via Cicolana e via Avezzano andava così prendendo forma l’attuale Piazza della Repubblica.
Ma ad un tratto sembrò tutto arrestarsi travolto da un immane disastro. Il sole appariva scialbo dietro la collina di Albe in quella tragica mattina del 13 gennaio 1915. Una strana inquietudine agitava gli animali. Il lugubre uggiolare dei cani non faceva presagire nulla di buono. Dapprima un sordo boato, proveniente dal seno della terra, percepito solo da alcuni, poi la terra ebbe un sussulto, si scosse, tremò come presa da un improvviso attacco di febbre. Le case, le chiese, le altre strutture edilizie furono sbatacchiate da una parie all’altra. Dà principio sembrava volessero resistere, dato il movimento ondulatorio quasi ritmico.. ma un contraccolpo improvviso fese sì che le mura perimetrali divergessero fra loro lasciando precipitare con fragore i tetti, le volte. Altre invece si piegarono su se stesse per poi crollare miseramente Il rumore assordante coprì le urla della gente.
Un polverone denso si levò in alto per poi riabbassarsi come una coltre funebre sul dolore e la morte. Quando il rumore cessò, si udirono le urla della gente che fuggiva come impazzita, i lamenti sordi di chi era rimasto imprigionato dalle macerie, le preghiere, i richiami disperati di quanti si aggiravano tra la densa polvere, che toglieva quasi il respiro, in cerca dei propri cari.
C’era chi, reclinato sui resti di quella che era stata la propria abitazione, ansioso di sentire un 1amento, un segno di vita, rimaneva immobile col fiato sospeso. I volti terrorizzati e sconvolti erano segno che le menti erano inebetite dallo spavento, Molti furono sorpresi nel sonno. Non c’era in quella stagione rigidissima il lavoro dei campi quindi molti contadini indugiavano nel letto, quasi per recuperare energia in attesa di riprendere il peso della vanga, non appena il tempo lo permettesse. Altri, che già erano usciti di casa, furono travolti nelle strade dissestate dal precipitare degli edifici: Alcuni si salvarono perché si erano svegliati per tempo per andare ad accudire il bestiame. Le stalle, sebbene pericolanti, erano rimaste in piedi. Quasi tutti quelli che si erano recati in chiesa perirono travolti dal crollo delle volte della navata centrale e di quella di destra. Il parroco, don Vincenzo Giusti si salvò, ché indenni rimasero sia la cupola che la volta del presbiterio. Anche il rione di San Domenico subì danni, ma non ci furono né crolli né vittime. Quasi intatte rimasero le poche case di via di Avezzano, cioè l’odierna piazza della Repubblica, forse perché di nuova costruzione.
Del vecchio centro storico solo il campanile rimase saldo nelle sue fondamenta, sebbene compromesso da fessure insuturabili, quasi segno di speranza per una nuova rinascita. Fu però causa del ritardato invio di aiuti. Raccontano, infatti, che i soldati, venuti a soccorrere le popolazioni marse, vedendo da lontano svettare nel cielo il campanile, pensassero che il paese non avesse subito danni. É noto pure che tutta la parte del centro storico, visibile a chi si rechi dalla parte di Avezzano, appariva di lontano quasi intatta. Scrive a tal proposito monsignor Scipioni nel numero unico stampato nell’anniversario del terremoto: ” Chi da lungi scorge la porzione di caseggiato rimasto in piedi e l’alto campanile crede che Magliano sia stato risparmiato dal terremoto o poco flagellato da esso. Ma se vi si accosta e ne attraversa le vie non potrà trattenere le lacrime nel constatare che la linda cittadina cui sorrideva le vita, beata per tanti doni di natura e per l’attività industriosa del suo popolo , è scomparsa sotto un cumulo di macerie informi e volgari, travolgendo ogni bellezza nello squallore e nella desolazione la più penosa e triste”.
Le osservazioni e le sensazioni che prova il Maglianese Scipioni sono le medesime dell’ inviato speciale del Corriere della sera che invia al suo giornale due giorni dopo il terremoto la seguente nota: ” A due o tre chilometri di distanza Magliano non sembra aver sofferto molto dalla scossa: pare che le case siano tutte in piedi e in piedi è il campanile della chiesa principale, di Santa Lucia. Ma via via che ci avviciniamo al paese, che contava l’altro ieri 2700 abitanti. e ne ha ora perduti 1200, ci accorgiamo che il disastro non è molto minore di quello d’Avezzano. A poca distanza dal paese era un grande stabilimento di laterizi, con grandi capannoni in muratura. Il fumaiolo è ora troncato a metà e i muri sono interamente rovinati. Ci dicono che si hanno qui 600.000 lire di danni. Entrando in paese ne constatiamo la generale rovina. Se Avezzano è rasa al suolo nel senso letterale della parola, non rimanendovi nessun muro in piedi, Magliano conserva quasi tutte le facciate dei suoi edifici, ma nell’interno, che orrore!
l vari piani delle case sono crollati l’uno sull’altro e nel vano rimasto fra le quattro mura esterne è un cumulo di macerie tra le quali spuntano mobili, utensili e spesso cadaveri. Qui, per la maggior resistenza dei fabbricati e per la diversa composizione del suolo – Magliano occupa la cima d’un colle, mentre Avezzano sorgeva in una valle – le rovine hanno l’aspetto di quelle di Reggio e di Messina. Si può camminare nelle vie, almeno nelle principali senza che occorra inerpicarsi sulle macerie. L’aspetto esteriore del disastro, insomma, è meno terribile, sebbene le conseguenze ne siano pur terribili. l primi 25 soldati sono giunti sul luogo stanotte e altrettanti ne sono arrivati stamane. Pochi sempre in confronto del bisogno. Il sindaco Di Clemente è rimasto ferito non gravemente, ferito è pure il maresciallo dei carabinieri, ma tre suoi militi sono rimasti sepolti. Il medico De Mena, rimasto tre ore sotto le macerie, ne é stato tratto ferito leggermente e ha prestato subito soccorso agli altri feriti.
Altri numerosi salvataggi furono compiuti dai superstiti: ciascuno, in mancanza di aiuti al di fuori. si é adoperato per due giorni intorno alle macerie, alla ricerca dei propri cari”.
Con l’arrivo dei soldati la situazione diventa meno difficile . Nella mattinata del 15 giungono a Magliano Bissolati, Comandini, Ruini e Vignola i quali cercarono di rendersi conto di un paese di cui erano tardate le notizie. Ma purtroppo i guai non erano finiti. Ne è testimonianza un servizio da Magliano dell’inviato speciale del Corriere della sera che porta la data del 18 gennaio . ” Due novità abbiamo trovato stamane nel triste pellegrinaggio: gli effetti del terremoto di stanotte e le nevicata. Un sussulto violento , alle 3 ha fatto crollare numerose pareti che ancora si erigevano fra le rovine. Nell’accampamento si è elevato un lamento collettivo , un grido confuso.
I superstiti comprendevano che i nuovi crolli rendevano ancora più ardui i recuperi delle salme. Ormai essi non hanno altro desiderio : sottrarre alle macerie i cari perduti”. Più giù l’articolo riporta notizie sull’opera di soccorso e ci dà una descrizione dei danni -” Grande fervore di 1avoro ho trovato a Magliano dei Marsi, il più popoloso dei paesi, che circondano il monte Velino e che forse non sorgerà più. benché a distanza sembri intatto”. “La topografia era graziosissima ; sei vie lo attraversano. arrampicandosi tortuosamente sopra un colle, finché giunte innanzi alla trecentesca cattedrale, sbucavano in una piazzetta che è l’orgoglio del paese. Una delle sei vie era pomposamente chiamata corso e si abbelliva di negozi che per Magliano costituivano un lusso.
Di queste arterie dei paese una sola, e non completamente, è rimasta quasi intatta avendo dieci case che sono ancora abitabili: tulle le altre crollate, ma crollate bizzarramente. un disordine che riesce inesplicabile. D’altronde è questa la caratteristica che si riscontra ovunque negli effetti del terremoto. si vedono facciate cadute parte da un lato e parte dall’altro. quasi come per il contrasto di forze opposte. L’orologio del campanile. qui come in altri paesi. ha cessato di battere alle otto meno cinque minuti del giorno 13 e adesso il trascorrere del tempo non è più segnato dai cari rintocchi consueti, mentre le .sfere indicano con una fissità che fa pensare all’inesorabilità del destino. Per Magliano quest’ora estrema ha segnato la morte di duemila abitanti su tremila.
Questo terribile disastro che sconvolse la Marsica col suo centro più popoloso Avezzano, con una ecatombe di 30.000 morti, al solo Magliano strappò la vita a settecento cittadini. Le stime immediate, come abbiamo già letto, riportavano cifre maggiori. ” Uno spettacolo impressionante- Scrive don Augusto Orlandi nei suoi appunti sulla chiesa di santa Lucia – presentava Piazza Santa Lucia nella mattina del 13 gennaio 1915. Vi erano distesi i cadaveri , che venivano ritrovati tra le macerie. Le spoglie mortali, caricate alla rinfusa su carri agricoli , dopo una brevissima e mesta cerimonia funebre, venivano trasportate e seppellite senza alcun ordine, in una cava di breccia lungo la via per Massa. Si dovette provvedere a tale triste operazione nel più breve tempo possibile per timore di epidemie. Solo poche salme vennero tumulate nel Cimitero di san Martino”.
La notizia dell’immane disastro fece sorgere gare di solidarietà in tutta l’Italia. Esemplare quella dimostrata dalle città del Veneto. Qui furono costituiti comitati per la raccolta di fondi necessari per costruire alloggi provvisori in diverse zone del paese lontane dal centro storico. Questi nuovi rioni provvisori presero il nome delle città benefattrici. Con la scomparsa delle baracche e con le nuove strutture urbanistiche, anche i rioni e i nomi sono scomparsi. Rimane solo quale testimonianza dell’antica solidarietà, il rione di Padova. Le donne dell’Azione Cattolica Italiana si costituirono in Comitati nazionali. Il papa, Benedetto XV ordinò che venissero aperti gli ospedali pontifici di Roma e la villa di Castelgandolfo per accogliere feriti e profughi. Il vescovo Pio Marcello Bagnoli, che ad una fede incrollabile, univa forza, senso pratico, facoltà di decisione, sentì, secondo l’espressione del nostro concittadino , don Mario Di Lorenzo, il travaglio della sventura, l’amarezza del dolore, spenta la vita nella cara diocesi.
A tanto dolore , a tanta rovina, il padre impose la sua nuova parola di vita, seppe effondere sui dolori dei figli, sui solchi sterili, sulle cose spente ancora una volta la parola e il ministero di Cristo, che moltiplica l’eterna semina del bene”. Nel primo anniversario del luttuoso evento significative sono le parole che monsignor Bagnoli Pronunciò:” Non potranno mai piangersi abbastanza le morti e le rovine. Ma è ormai tempo di rialzarsi , di riprendere con energia e generosità la nostra via, alfine di assicurare presto alla nostra regione una nuova vita più prospera, più vigorosa”. Ma oltre i 30.000 morti la Marsica ebbe anche grandi perdite nel suo patrimonio artistico. ” quasi tutti i monumenti che abbellivano i paesi della regione o a cavaliere di poggi resi allegri dal sorriso perenne di un sole purissimo o riposti nelle quiete insenature delle valli profumate da timi e da salvie, caddero infranti al suolo, ove rimarranno alimenti di rigogliose ortiche, se pure l’aquilone non ne disperda polverizzate le ultime reliquie”.
Magliano perdeva definitivamente un comprensorio di abitazioni ove si ammiravano tracce di arte angioina, la romanica chiesa di Santa Maria ad Nives che conservava affreschi del quattrocento e del seicento della scuola romana degli Zuccari, il settecentesco Palazzo Masciarelli ed altri edifici minori, furono perduti per sempre. La chiesa di santa Lucia, anch’essa distrutta dal terremoto, fu ricostruita secondo le linee originali, La facciata, smontata nei suoi elementi, fu ricostruita come era prima del terremoto…
A cura del Prof. Giuseppe Di Girolamo
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