L’idea di questo sito nasce per divulgare quanto più possibile la memoria storica degli eventi sismici che hanno colpito, negli anni passati, il territorio di Magliano de’ Marsi, affinchè resti sempre vivo il ricordo di queste immani tragedie alle nuove generazioni, ai loro figli, ed ai figli dei loro figli.
“Ai terremoti non v’è rimedio alcuno. Se il cielo ci minaccia con le folgori, pure si trova scampo nelle caverne… Ma contro i terremoti non vale la fuga, non giovano nascondigli… ”
(Francesco Petrarca, Secretum, dialogo 91, dopo il terremoto del 1349)
Per la riduzione del rischio la memoria storica ha un’importanza fondamentale per due motivi:
– il rischio lo conosciamo principalmente attraverso le informazioni che vengono dalla memoria storica, in quanto le mappe di pericolosità sono costruite in gran parte sulla base di dati che provengono dallo studio degli effetti dei terremoti del passato, e quindi attraverso la ricerca storica (oltre che da dati geologici, strumentali, ecc…);
– la consapevolezza del rischio si costruisce sul recupero della memoria condivisa di un carattere specifico del territorio in cui si vive, quale è la sua sismicità, di cui possiamo riconoscere le tracce, i segni, visibili in tante forme: nella memoria collettiva in senso stretto, negli edifici in cui il danno di un terremoto del passato ancora riconoscibile, nella forma stessa delle città distrutte e ricostruite, in epigrafi, iscrizioni, icone votive, tradizioni popolari, modi di dire, proverbi, nel nome dei luoghi, nelle tradizioni religiosi e in tante altre forme, spesso sorprendenti.
La memoria è un fattore fondamentale per comprendere che il terremoto non è una catastrofe ineluttabile, ma un fenomeno naturale, un carattere del territorio, con cui fare i conti e dal quale ci si può proteggere. Quello che lucidamente afferma Jano Planco, un naturalista riminese di inizio Settecento, afferma lucidamente: “Il terremoto non è un puro castigo di Dio ma un vero fenomeno della natura com’è la pioggia, la nebbia, la neve, la grandine, il fulmine, le tempeste e cose simili…”
Prof. Renato Camassi – INGV (Corso di Formazione Campagna Terremoto Io Non Rischio)
Classificazione sismica Italiana
Per ridurre gli effetti del terremoto, l’azione dello Stato si è concentrata sulla classificazione del territorio, in base all’intensità e frequenza dei terremoti del passato, e sull’applicazione di speciali norme per le costruzioni nelle zone classificate sismiche.
La legislazione antisismica italiana, allineata alle più moderne normative a livello internazionale prescrive norme tecniche in base alle quali un edificio debba sopportare senza gravi danni i terremoti meno forti e senza crollare i terremoti più forti, salvaguardando prima di tutto le vite umane.
Sino al 2003 il territorio nazionale era classificato in tre categorie sismiche a diversa severità. I Decreti Ministeriali emanati dal Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1981 ed il 1984 avevano classificato complessivamente 2.965 comuni italiani su di un totale di 8.102, che corrispondono al 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione.
Nel 2003 sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio, ossia sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo.
A tal fine è stata pubblicata l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, sulla Gazzetta Ufficiale n. 105 dell’8 maggio 2003.
Il provvedimento detta i principi generali sulla base dei quali le Regioni, a cui lo Stato ha delegato l’adozione della classificazione sismica del territorio (Decreto Legislativo n. 112 del 1998 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – “Testo Unico delle Norme per l’Edilizia”), hanno compilato l’elenco dei comuni con la relativa attribuzione ad una delle quattro zone, a pericolosità decrescente, nelle quali è stato riclassificato il territorio nazionale.
Zona 1 – E’ la zona più pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti.
Zona 2 – Nei Comuni inseriti in questa zona possono verificarsi terremoti abbastanza forti.
Zona 3 – I Comuni inseriti in questa zona possono essere soggetti a scuotimenti modesti.
Zona 4 – E’ la zona meno pericolosa.
Di fatto, sparisce il territorio “non classificato”, che diviene zona 4, nel quale è facoltà delle Regioni prescrivere l’obbligo della progettazione antisismica. A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima su roccia (zona 1=0.35 g, zona 2=0.25 g. zona 3=0.15 g, zona 4=0.05 g).
L’attuazione dell’ordinanza n.3274 del 2003 ha permesso di ridurre notevolmente la distanza fra la conoscenza scientifica consolidata e la sua traduzione in strumenti normativi e ha portato a progettare e realizzare costruzioni nuove, più sicure ed aperte all’uso di tecnologie innovative.
Le novità introdotte con l’ordinanza sono state pienamente recepite e ulteriormente affinate, grazie anche agli studi svolti dai centri di competenza (Ingv, Reluis, Eucentre).
Un aggiornamento dello studio di pericolosità di riferimento nazionale (Gruppo di Lavoro, 2004), previsto dall’opcm 3274/03, è stato adottato con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3519 del 28 aprile 2006.
Il nuovo studio di pericolosità, allegato all’Opcm n. 3519, ha fornito alle Regioni uno strumento aggiornato per la classificazione del proprio territorio, introducendo degli intervalli di accelerazione (ag), con probabilità di superamento pari al 10% in 50 anni, da attribuire alle 4 zone sismiche.
Nel rispetto degli indirizzi e criteri stabiliti a livello nazionale, alcune Regioni hanno classificato il territorio nelle quattro zone proposte, altre Regioni hanno classificato diversamente il proprio territorio, ad esempio adottando solo tre zone (zona 1, 2 e 3) e introducendo, in alcuni casi, delle sottozone per meglio adattare le norme alle caratteristiche di sismicità.
Per il dettaglio e significato delle zonazioni di ciascuna Regione, si rimanda alle disposizioni normative regionali.
Qualunque sia stata la scelta regionale, a ciascuna zona o sottozone è attribuito un valore di pericolosità di base, espressa in termini di accelerazione massima su suolo rigido (ag). Tale valore di pericolosità di base non ha però influenza sulla progettazione.
Le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008), infatti, hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona – e quindi territorio comunale – precedentemente veniva fornito un valore di accelerazione di picco e quindi di spettro di risposta elastico da utilizzare per il calcolo delle azioni sismiche.
Dal 1 luglio 2009 con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per ogni costruzione ci si deve riferire ad una accelerazione di riferimento “propria” individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera. Un valore di pericolosità di base, dunque, definito per ogni punto del territorio nazionale, su una maglia quadrata di 5 km di lato, indipendentemente dai confini amministrativi comunali.
La classificazione sismica (zona sismica di appartenenza del comune) rimane utile solo per la gestione della pianificazione e per il controllo del territorio da parte degli enti preposti (Regione, Genio civile, ecc.).
Commenti recenti